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L’insostituibile leggerezza di… Inglese

L’attaccante è fondamentale nel gioco di D’Aversa: senza di lui il Parma è spuntato. Non riesce a tenere palla, né a far salire la squadra

Inglese contro la Fiorentina non era al top: già nell’intervallo giocava da acciaccato e si parlava di sostituirlo. Poi ha fatto tutta la partita ma ha giocato meglio nel secondo tempo che nel primo. Nel giorno successivo è rimasto a riposo perché aveva un problema all’adduttore. Ha saltato la rifinitura sempre per un problema all’adduttore e per l’influenza. Non è stato convocato per l’influenza, ma era alla partita, quindi mi è sembrata un po’ strana come cosa, tanto strana da non farmelo convocare… Principalmente aveva un problema all’adduttore, per questo non l’ho portato“.

Roberto D’Aversa a fine partita arde. La sconfitta con la Roma gli ha messo il broncio e in una conferenza stampa accesa si è lasciato un po’ andare. Nulla di che, per carità, ma un avvertimento più che a Roberto Inglese, nella foga del momento l’ha voluto mandare ai medici. La partita era appena finita e l’agonismo scorreva ancora nelle vene di Bob. Una punturina allo staff sanitario del Parma che ha consigliato al tecnico di non convocare Inglese, a cui avevano consigliato riposo assoluto. Non è valsa a nulla la raccomandazione, dato che poi si è presentato lo stesso allo stadio a vedere la partita e alla fine ha salutato tutti prima di andare in vancanza. D’Aversa non l’ha mandata giù, soprattutto per la sconfitta che ha esasperato un po’ i toni. C’è da dire che l’allarme – mai scattato – è rientrato subito, era più che altro la tensione del tecnico a trasparire in una chiacchierata un po’ tesa tra allenatore e giornalisti.

Si tiene stretto il suo calcio pragmatico, la cui efficacia però dipende anche e soprattutto da Roberto Inglese. Il rapporto splendido che si è creato tra il tecnico e l’attaccante è solido. I due parlano spesso, D’Aversa gli dice quello che deve fare e lui lo fa, sacrificandosi. Mettendo avanti prima gli obiettivi della squadra e poi i suoi. E il suo modo di giocare rispecchia fedelmente il suo essere: uno che si sbatte, che corre, lotta e – se ha tempo – segna pure. Ma fa tanto lavoro sporco, catalizza palloni in quantità industriale e li smista, lavorandoli per i compagni pronti ad accompagnarlo e sostenere la sua giocata.

Che solitamente è volta a mandare in porta chi gli gioca vicino: sa attaccare anche la profondità, va detto, ma quando sgorga la sponda, il corridoio a cercare l’ingresso in area degli esterni che stringono in zona palla e delle mezzali è un sempre un bel vedere. Un giocatore imprescindibile per gli schemi di D’Aversa, tiene palla, ti aiuta a portare in alto la squadra e, oltre al gol, dà aria alla manovra difendendo il pallone con il suo corpo statuario e allargando il gioco.

Con Gervinho e Biabiany stretti attorno a Inglese, con la Roma poteva essere – forse – un’altra partita. Chi lo sa? Ormai è andata, c’è da pensare alla prossima. E la prossima dopo la sosta dice Udinese, una squadra a cui ha fatto già gol.

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